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I vostri genitori hanno represso le vostre stranezze? Da adulti riuscite a viverle in modo libero?
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Commenti
e diceva che ero troppo razionale.
Diceva che ero pedante, come modo di parlare (prima correggevo spesso le inesattezze quando uno parlava), e non tollerava che avessi una vita così abitudinaria (le ricordavano le abitudini di mio padre).
Tipo il tè delle 17, le lunghe passeggiate alla stessa ora con il cane, la lettura dopo cena con il gatto, il silenzio etc.
Per quanto riguarda le stranezze, anche mia madre ne aveva parecchie, quindi vivevamo senza giudicarci.
Adesso parlo per conto mio, mi aiuta a pensare, ho giornate quasi sempre uguali, anche se non ho impegni fissi, parlo con i pelouches, e a volte leggo 3 libri in un giorno.
Continuo con queste stramberie, e in casa ci facciamo ognuno i fatti nostri.
Però all'inizio dell'adolescenza mio padre ha cominciato a dirmi, con insistenza, che dovevo uscire, fare amicizia, e che se ciò di cui mi parlavano i miei coetanei mi sembrava stupido, che fingessi di interessarmene, che dicessi sciocchezze anch'io, perché quello è l'unico modo di stare in compagnia.
Questa cosa mi è pesata, perché per alcuni anni ho cercato la sua approvazione cercando di fare amicizie, riuscendoci malamente e con grande ansia.
Ora che ho un quadro più ampio, non gliene faccio colpe, in ogni caso le sue intenzioni erano le migliori.
Lo ringrazio invece del fatto che mi spronasse a "darmi una svegliata" sulle questioni pratiche, perché di sicuro mi è stato necessario.
Non considero mio padre un asperger, ma riconosco in lui alcuni tratti: parla dei suoi interessi anche quando, visibilmente, a nessuno importa, e non si accorge di essere poco chiaro e di lasciare le frasi a metà. Dal punto di vista sociale è una "macchina perfetta", se decide di fare amicizia con qualcuno lo fa e basta, ma allo stesso tempo si nota che ha un vero e proprio metodo, che dice di aver imparato con la pratica, col lavoro che fa (è cameriere). Per lui non è istintivo, quindi credo gli sembrasse giusto che anch'io mi mimetizzassi pur di "prendere parte".
correggeva le persone se parlavano con espressioni scorrette, era una persona piena di abitudini, collezioni etc.
Ma socialmente, come diceva Peregrino per suo padre, funzionava piuttosto bene.
Mia madre, invece, aveva forti periodi di solitudine in cui respingeva tutti.
chi sapeva più capitali mondiali, nomi di dinosauri, poche
macchinine, ma tantissimi lego per costruire ogni cosa e non era visto come un
problema raccogliere insetti, guardarli al microscopio, tagliuzzarli
ed altre amenità del genere, non ho percezione che i miei siano mai
intervenuti, a dire il vero ho la percezione del nulla (o quasi) da
parte loro.
Penso di aver prevenuto abbondantemente le loro correzioni: ho sempre avuto il desiderio assoluto di non creare problemi, dalle elementari mi sono sempre sforzata di studiare,
osservare e adeguarmi agli altri e, quindi, assolvere al mio "dovere"
di non creare problemi.
Solo i problemi sociali sono riemersi nell'adolescenza e mi hanno
causato le ramanzine del caso con tutto il repertorio connesso, ma
non si sono preoccupati più di tanto (o forse hanno fatto un po' gli
struzzi) standosene del mio risicato minimo indispensabile (tendente
a zero) che comunque facevo (solo per quietare, non più per non
creare problemi).
Ora come ora, non so bene cosa sia maschera o meno: gli schemi
mentali sono automatici, profondamente radicati in me e mi fanno
vivere bene, nel senso che mi servono per gestire l'ansia nel 95%
delle situazioni.
Dal punto di vista sociale pur essendo consapevole che nel mio
piccolo sono un disastro, mi faccio meno problemi se sono
classificata strana.
Ciao.