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Il dolore degli altri
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Commenti
Anch'io non vado a trovare le persone in ospedale di mia iniziativa e mi dimentico di chiedere l'esito di interventi e visite.
Può essere che sia una forma di concentrazione su se stessi che non fa comprendere il dolore altrui.
non vuole essere intesa come "assenza" completa di pathos (sentire), anche se molte volte si verifica anche questo,come quando non c'è riconoscimento nell'ambito familiare del ruolo dei genitori;
Quando ho avviato questa discussione l'ho fatto per capire meglio questo aspetto del suo comportamento che mi è familiare da anni.
Credo che la reazione (per usare le tipologie di @wolfgang ) sia del tipo: "la persona legge il dolore ma non lo comprende".
Se io, che in questi giorni non posso muovermi, chiedo a Japi di andare a prendermi un bicchiere d'acqua o portarmi un libro , mi risponde: "certamente " e agisce solerte. Se invece pretendessi che mi chiedesse "ti fa male ?" oppure se mi aspettassi che mi desse un bacio consolatorio o mi facesse un "pat, pat" :-) rimarrei delusa. Non fa parte del suo modo di fare.
Ma non perché non sia affettuoso, per esempio oggi tornato da scuola si è disteso accanto a me e mi ha fatto le coccole, non perché sono convalescente, ma perché era contento di vedermi a casa.
Quando una persona cara sta male, io sono incapace di dare il mio supporto morale e di essere confortante - sebbene sia migliorata da qualche anno a questa parte, grazie all'autoconsapevolezza. Mi è anche accaduto -spesso- di non capire che l'altra persona stesse male, di non riuscire a capire perché o di provare troppa ansia, oppure ancora di non avere idea di come agire, come scrive @wolfgang .
Tre anni fa, mia nonna, che vive con me e i miei genitori, si sentì male mentre era in bagno; perse i sensi per qualche minuto e non rispondeva se chiamata. Io non mi mostrai preoccupata, ma agii in modo efficiente: chiamai io il 118, scesi ad aspettare l'ambulanza perché il giardino non è illuminato ed è difficile leggere il numero civico dalla strada, una volta arrivata l'ambulanza li informai delle dimensioni ridotte dell'ascensore, questo mentre mia mamma piangeva disperatamente e faticava a mantenere la lucidità. Iniziai a provare ansia solo mentre aspettavo l'ambulanza, perché ero costretta all'immobilità: ricordo quei 20 minuti interminabili passati a guardare le stelle nella notte fredda, in cui tutto il mondo sembrava essersi fermato.
Un esempio meno drammatico e più recente risale a quando la persona che amo si è ammalata, con febbre e infiammazione alle vie respiratorie. In questo caso sono andata in farmacia, poi ho fatto qualche lavoretto in casa e gli sono stata vicino. Ma avevo spesso le cuffie e da un punto di vista verbale non penso di essere stata molto confortante.
A volte mi accade di provare così intensamente il dolore di qualcuno -pur senza manifestarlo-da non poterlo sopportare ed erigere una sorta di "muro emotivo" per proteggermi. Mi è accaduto anche per estranei coinvolti in casi di cronaca o per persone quasi sconosciute. Non manifestare un sentimento non significa non provarlo.
(Scusate l'edit, ma avevo scritto cose troppo private e ho preferito cancellarle).
so I could walk right through it
E per la mia natura lo faccio anche adesso, però dura un attimo. Non mi trasformo in un supereroe, però un minimo di confort provo sempre di farlo avere da parte mia. E se mi devo trasformare in un supereroe per una persona a cui ci tengo, io smetto di esistere, quella persona avrà tutto da me. Succede anche che il mio aiuto viene rifiutato, e allora mi porto i sensi di colpa per molto tempo avanti.
Poter fare solo un minimo e non fare niente non è da me.